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Formazione, la difesa di Genovese “Fumus persecutionis della Procura”

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E’ costituita da 53 pagine la memoria difensiva che Francantonio Genovese ha depositato alla segreteria della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei Deputati che domani alle 13 esaminerà il suo caso.

Il parlamentare messinese è il destinatario di una richiesta d’arresto, emessa nell’ambito della seconda trance dell’inchiesta “Corsi d’oro” sulla Formazione.

Nel corso della seduta di domani la giunta proseguirà l’esame dei 10 faldoni che riguardano Genovese. Entro tre settimane i componenti dell’organismo parlamentare dovranno pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione a procedere. La decisione finale spetterà alla Camera dei deputati.

“Questa mia prima memoria – scrive Genovese nel documento indirizzato ai componenti della giunta per le autorizzazioni a procedere –  è finalizzata da una parte a richiedere la acquisizione di atti e documenti e dall’altra a sollecitare, anche sulla scorta di questi ultimi, una serena valutazione di quegli atti processuali a sostegno della misura di massimo rigore che si chiede di poter eseguire nei miei confronti”.

Il parlamentare parla di “fumus persecutionis” riferendosi ai fatti che gli vengono contestati, “Intendo da subito chiarire – spiega Genovese – che tale presupposto non ha nulla a che vedere con la esistenza di complotti orditi dalla magistratura nei miei confronti, nei confronti di una parte o anche di una sola corrente politica ma, come è già avvenuto in passato in occasione di analoghe richieste, si sostanzia nella sussistenza di un’iniziativa giudiziaria che assume tratti di una vera a propria “persecuzione” poiché finisce con il riservare al parlamentare un trattamento diseguale, rispetto alla generalità dei casi. Per dirla in sintesi, il trattamento che mi viene riservato, lungi dall’essere uguale a quello serbato nei confronti di ogni altro cittadino, presenta tratti di vera e propria “esclusività”, da riservare, appunto, ai soli indagati appartenenti alla c.d. “casta politica” e si segnala per una particolare ed inammissibile forzatura interpretativa, sia dei fatti che della concretezza del pericolo di reiterazione”.

Il parlamentare messinese punta il dito anche contro l’uso delle intercettazioni fatto dalla Procura della città dello Stretto. “La disposta attività intercettativa, così come lo stesso Giudice si è rappresentato, – sostiene Genovese – pone almeno un duplice ordine di problemi: da una parte, quello della utilizzabilità di intercettazioni disposte nell’ambito di un procedimento penale diverso, aperto da altre Autorità Giudiziarie (la Procura della Repubblica di Patti), dall’altra, quello della utilizzabilità o meno di intercettazioni casuali riguardanti il parlamentare. La soluzione adottata nella ordinanza di cui siamo costretti ad occuparci, presenta solo apparenti tratti di garantismo. Sotto il primo dei segnalati profili, quello della utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, raccolte in altro procedimento penale, la soluzione offerta non si pone certamente in linea con il dato normativo (art. 270 cpp), né con i pacifici orientamenti giurisprudenziali in materia. Senza intendere tediare più del dovuto chi legge, con il richiamo a profili di carattere squisitamente tecnico, sarà sufficiente dire come i due reati oggetto dei distinti procedimenti (quello avviato nell’anno 2011 dalla Procura della Repubblica di Patti e l’odierno, di competenza della Procura della Repubblica di Messina), non risultano assolutamente collegati o connessi, sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico, sì da poter escludere che si tratti di procedimenti diversi”.

Il passaggio chiave della memoria difensiva di Genovese riguarda la presunta incompatibilità di Giovanni De Marco, il giudice per le indagini preliminari che ha firmato la richiesta d’arresto. Genovese parla di “sentimenti di effettivo disinteresse nutriti dal Giudice della misura nei confronti miei personali e dei fatti che andava a valutare. Nei mesi scorsi, la stampa locale ha pubblicato notizie che avrebbero richiesto, forse, ben altra attenzione… si segnala il rapporto di parentela del Gip con tale Piero David, all’epoca dei fatti capo della segreteria tecnica dell’Assessore Regionale alla Formazione, Mario Centorrino. Costui, quindi, avrebbe fatto parte di quello staff amministrativo che, secondo la valutazione giudiziale, tanti guasti avrebbe prodotto in materia di formazione professionale in Sicilia, restando, pur tuttavia, assolutamente escluso da ogni sospetto di connivenza e/o copertura istituzionale. Il secondo dei richiamati articoli di stampa rimanda a presunte irregolarità nelle assunzioni, per chiamata diretta, all’ATO di Messina, oggetto di specifica indagine, questa volta della moglie dello stesso Giudice. Mi chiedo, oggi, se abbia davvero potuto mantenere l’indispensabile ruolo di terzietà un Giudice costretto a confrontarsi con i propri rapporti familiari e/o parentali, nei diversi momenti della odierna indagine. Ha pesato sulla decisione giudiziale nei confronti di La Macchia Salvatore, persona ritenuta politicamente a me vicina ed inserita nell’entourage dell’Assessore Centorrino, la circostanza che ad assumerne la moglie all’ATO sia stato proprio tale indagato? E se sì, in che termini? Resta comunque il dubbio di una mancanza di terzietà piena e, quindi, di un possibile condizionamento, ancorché non voluto”.


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